lunedì 22 dicembre 2008

martedì 25 novembre 2008

San Francesco



Preghiera Semplice - dedicata a Papà

Oggi sarebbe stasto il compleanno di papà gli dedico questa splendida preghiera del mio amato Francesco


Preghiera Semplice.
di San Francesco D'Assisi
Signore, fa di me
uno strumento della Tua Pace:
dove è odio, fa ch'io porti l'Amore,
dove è offesa, ch'io porti il Perdono,
dove è discordia, ch'io porti l'Unione,
dove è dubbio, ch'io porti la Fede,
dove è errore, ch'io porti la Verità,
dove è disperazione, ch'io porti la Speranza,
dove è tristezza, ch'io porti la Gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la Luce.
Maestro, fa che io non cerchi tanto
ad esser consolato, quanto a consolare;
ad essere compreso, quanto a comprendere;
ad essere amato, quanto ad amare.
poiché, così è:dando, che si riceve;
perdonando, che si è perdonati;
morendo, che si risuscita a Vita Eterna.

mercoledì 12 novembre 2008

Frasi Celebri

Gli animali fanno bene alla famiglia, ai grandi e ai piccini: suscitano sorrisi, risate,tengono compagnia e guariscono la depressione.Che i cristiani debbano amare gli animali, si sa almeno dai tempi di San Francesco , che parlava alle tortorelle, convertiva il lupo di Gubbio e insegnava che "Animale" del resto deriva da "anima" cioè significa un essere che ha vita e che è animato. Sono animali le bestie, è animale l'uomo. Tutti siamo animali.

mercoledì 22 ottobre 2008

L'Arca di Noè


L'Arca di N

Il punto da cui partire è: possiamo noi credere a quanto è riportato nel libro della Genesi dal capitolo 6 al 9?
Prima del diluvio, la Bibbia afferma che gli uomini degenerarono nel loro comportamento, a tal punto che la loro mente concepiva soltanto disegni malvagi "in ogni tempo" e "colmarono la terra di violenza".
Vedendo che l'uomo era diventato così malvagi, Dio si addolorò di averlo creato. Da qui la decisione di annientare tutte le persone, gli animali e gli uccelli:
5Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. 6Il SIGNORE si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. 7E il SIGNORE disse: "Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti" … 11Or la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza. (Genesi 6:5-7, 11).
Noè provava a vivere rettamente in questo mondo malvagio, quindi Dio fu misericordioso verso lui e la sua famiglia (Genesi 6:8-9; 7:1). A Noè furono date istruzioni da parte di Dio per come costruire una grossa nave, lunga 165 metri, larga 27,5 metri e alta 16,5 metri (Genesi 6:14-16). Mi hanno detto che le sue dimensioni erano simili a quelle di una grossa petroliera, come quelle di oggi, capace di resistere senza rovesciarsi alle più violenti tempeste di mare.
Dio disse a Noè: "tutto quello che è sulla terra perirà" col diluvio. (Genesi 6:17; 7:4). L'Eterno gli disse che l'arca avrebbe salvato lui e la sua famiglia (quattro coppie sposate), una coppia maschio e femmina di tutti gli animali "impuri" e 7 paia di coppie d'animali puri. (Genesi 7:2). Dio gli disse anche di prendere ogni sorta di cibo e farsene una provvista, affinché servisse da nutrimento per la sua famiglia e per gli animali. (Genesi 6:21).
Noè fece "tutto quello che Dio gli comandò." (Genesi 6:22; 7:5).
Sette giorni prima che la pioggia cominciasse, Dio ordinò a Noè, che in quel tempo aveva 600 anni, di andare nell'Arca con tutta la sua famiglia e gli animali. (Genesi 7:1-4,6). Poi Dio li sigillò nell'Arca. (Genesi 7:16). Dio fece arrivare l'acqua sia dalla terra che dal cielo e questo durò 40 giorni, fino a quando la profondità delle acque era di 8,25 metri al di sopra della vetta più alta. (Genesi 7:11-12, 19-20). Tutto quello che era sulla terra asciutta ed aveva un alito di vita nelle sue narici, morì. Solo quelli nell'Arca sopravvissero. (Genesi 7:21-23).
Dopo 150 giorni le acque cominciarono ad abbassarsi. L'Arca si arenò su una delle cime più alte dell'Ararat. Tre mesi dopo la cima della montagna poteva esser vista. (Genesi 8:3-5). Quando la superficie del terreno era abbastanza asciutta, la Bibbia dice che Dio disse a Noè di uscire dall'Arca, 365 giorni dopo esserci entrato. (Genesi 8:16).
In seguito Dio fece una promessa, "non ci sarebbe stato più nessun diluvio a distruggere la terra". L'arcobaleno sarebbe stato il segno di questo patto. (Genesi 9:8-17).

lunedì 13 ottobre 2008

L'Amore di Francesco per gli Animali

Laudato sie, mì Signore cum tucte le Tue creature, specialmente messor lo frate Sole…”.






Difficile non riconoscere in queste parole il Cantico delle Creature, intonato da Francesco, ormai cieco, piagato e sull’orlo del transito verso l’altra vita, per celebrare la natura, nella sua pienezza, espressione del suo amore per Gesù Cristo.


Francesco non è un vero e proprio “ecologista ante litteram”, come qualcuno vorrebbe esagerando e forzando la storia del santo. In lui l’amore per la natura, che è comunque una costante dopo la sua conversione, è sempre mediato dalla presenza del Ministero. “Questa bella d’erbe famiglia e d’animali” non è un assoluto superiore all’uomo o un orizzonte fine a se stesso, ma il riflesso di quell’armonia e quel rispetto che furono gli archetipi della sua vita, fino a quella notte fra il 3 e il 4 ottobre del 1226, quando la sua anima salì a Lui, all’età di quarantaquattro anni.

Poesia - Vivisezione




Vivisezione


Uomo infelice senza gioia,
privo d'amore;
che neghi la pietà a chi la invoca
e senza timore,
dormi tranquillo con la tua coscienza.
Mai fosti caduto così in basso,
contorto e alienato spirito;
figlio emerito della pazzia,
pari ai rifiuti non riciclabili.

Essere immondo non degno del creato
che mascheri le tue torture i tuoi delitti,
con etica ipocrita, sfacciata e falsa.
Sono anime sporche,sudice, marce
d'una ferocia e crudeltà consapevoli
che si sprigionano contro gli indifesi.
Esercitata da menti aberranti
con accanito cinismo e indifferenza
su esseri innocenti,costretti con forzata costrizionea subire l'impudenza sprezzante
dei suoi torturatori.
Ostentata mania,
di sviscerare le povere vittime.
Per una falsa scienza,
si ostinano ad infliggere,dolore e sofferenza.
L'uomo la bestia più perversa,
è bene non allevarlo
potrebbe avere in seno del veleno.
Seviziatori,torturatori,sadici,egocentrici;
loro possono e vogliono,le povere bestioline subiscono.
Ho uomini crudeli!Rendetemi le mie creature.
Cosa ne avete fatto?Distorte menti!Lasciate ch'io le raccolga,non buttatele ai rifiuti.
Soltanto voi meritate di essere gettati nelle discariche e nelle fogne.
autore: Leopold Persidi (Roma 29-3-2003)

Miracle of Marcelino 1955

venerdì 10 ottobre 2008

Film Marcellino Pane e Vino




Marcellino Pane e Vino





Nel giorno di San Marcellino, in Spagna, un frate francescano si reca in paese per andare a visitare una bambina gravemente malata, mentre tutto il paese sta salendo la collina per andare al convento sulla tomba di San Marcellino; il frate inizia a raccontare la storia del convento e di Marcellino. Finita la sanguinosa guerra combattuta tra Francesi e Spagnoli, tre frati francescani chiedono al sindaco, Don Emilio, di poter riassestare il vecchio castello per convertirlo a convento; il sindaco accetta e tutta la popolazione aiuta i tre frati nell'intento. Dopo poco tempo il convento è costruito ed inaugurato. Una mattina però, il frate portinaio trova alla porta un cestino con dentro un neonato che piange, poiché ha fame e sete; i frati lo battezzano e gli danno il nome di Marcellino, poiché è il giorno di S. Marcellino. I frati vorrebbero affidarlo a qualche famiglia, ma nessuno è in grado di mantenere un altro figlio, viste le condizioni di miseria in cui viveva la popolazione spagnola. Marcellino diventa un bambino di cinque anni robusto e forte e tratta tutti e dodici frati come dodici padri, ma sente molto la mancanza di una figura materna, infatti fa ai frati molte domande sulle mamme. Un giorno Marcellino, disubbidendo a frate Francesco (chiamato da Marcellino "Fra Pappina"), trova un crocifisso parlante che gli chiede da mangiare e da bere; Marcellino avendo solo pane e vino, lo dà a Gesù, che lo soprannomina Marcellino Pane e Vino. Portato da un fraticello alla fiera paesana, distrugge la fiera; così il nuovo sindaco, da sempre contrario all'opera di bene fatta da Don Emilio, emette uno sfratto ai danni dei frati. Ma pochi giorni prima dello sfratto Marcellino va a parlare con Gesù delle mamme, e dice che vuole vedere la sua mamma e la Madonna, alchè Gesù addormenta Marcellino e lo manda in cielo a conoscere i genitori. Frate Francesco che aveva visto il miracolo chiama tutti i frati al cospetto del Signore per vedere Gesù che scende e sale in croce. Tutta la gente del paese corre a vedere il miracolo e ogni anno la gente del luogo si reca sulla tomba di Marcellino Pane e Vino.

sabato 4 ottobre 2008

4 Ottobre -Festa di San Francesco D'Assisi



San Francesco d'Assisi Patrono d'Italia
4 ottobre
Assisi, 1182 - Assisi, la sera del 3 ottobre 1226
Da una vita giovanile spensierata e mondana, dopo aver usato misericordia ai lebbrosi (Testamento), si convertì al Vangelo e lo visse con estrema coerenza, in povertà e letizia, seguendo il Cristo umile, povero e casto, secondo lo spirito delle beatitudini. Insieme ai primi fratelli che lo seguirono, attratti dalla forza del suo esempio, predicò per tutte le contrade l'amore del Signore, contribuendo al rinnovamento della Chiesa. Innamorato del Cristo, incentrò nella contemplazione del Presepe e del Calvario la sua esperienza spirituale. Portò nel suo corpo i segni della Passione. Il lui come nei più grandi mistici si reintegrò l'armonia con il cosmo, di cui si fece interprete nel cantico delle creature. Fu ispiratore e padre delle famiglie religiose maschili e femminili che da lui prendono il nome. Pio XII lo proclamò patrono d'Italia il 18 giugno 1939. (Mess. Rom.)
Patronato: Italia, Ecologisti, Animali, Uccelli, Commercianti, Lupetti/Coccin. AGESCI
Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco
Emblema: Lupo, Uccelli
Martirologio Romano: Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra.


Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”.Per questo è considerato il più grande santo della fine del Medioevo; egli fu una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva.Ma proprio a lui toccò in un modo provvidenziale, di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo.Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.

giovedì 18 settembre 2008

17 settembre Stimmate di San Francesco



17 SETTEMBRE
Impressione delle Stimmate di san Francesco

Festa

MESSALE

SECONDO IL RITO ROMANOE IL CALENDARIO SERAFICO
LETTURE: Gal 6,14-18; Sal Cfr Gal 2; Fil 1; Lc 9, 23-26

Il Serafico Padre s. Francesco nutrì, fin dalla sua conversione, una fervidissima devozione a Cristo Crocifisso, devozione che diffuse sempre con le parole e la vita.Nel settembre del 1224, mentre sul monte della Verna era immerso nella meditazione, il Signore Gesù, con un prodigio singolare, gli impresse nel corpo le Stimmate della sua Passione. Benedetto XI concesse all'Ordine Francescano di celebrare annualmente il ricordo.
Francesco, mediante le sacre Stimmate, prese l’immagine del Crocifisso

Dalla «Legenda minor» di san Bonaventura (Quaracchi, 1941, 202-204).
Francesco, servo fedele e ministro di Cristo, due anni prima di rendere a Dio il suo spirito, si ritirò in un luogo alto e solitario, chiamato monte della Verna, per farvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Fin dal principio, sentì con molta più abbondanza del solito la dolcezza della contemplazione delle cose divine e, infiammato maggiormente di desideri celesti, si sentì favorito sempre più di ispirazioni dall’alto.Un mattino, verso la festa dell’Esaltazione della santa Croce; raccolto in preghiera sulla sommità del monte, mentre era trasportato in Dio da ardori serafici, vide la figura di un Serafino discendente dal cielo. Aveva sei ali risplendenti e fiammanti. Con volo velocissimo giunse e si fermò, sollevato da terra, vicino all’uomo di Dio. Apparve allora non solo alato ma anche crocifisso.A questa vista Francesco fu ripieno di stupore e nel suo animo c’erano, al tempo stesso, dolore e gaudio. Provava una letizia sovrabbondante vedendo Cristo in aspetto benigno, apparirgli in modo tanto ammirabile quanto affettuoso ma al mirarlo così confitto alla croce, la sua anima era ferita da una spada di compaziente dolore.Dopo un arcano e intimo colloquio, quando la visione disparve, lasciò nella sua anima un ardore serafico e, nello stesso tempo, lasciò nella sua carne i segni esterni della passione, come se fossero stati impressi dei sigilli sul corpo, reso tenero dalla forza fondente del fuoco.Subito incominciarono ad apparire nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi; nell’incàvo delle mani e nella parte superiore dei piedi apparivano le capocchie, e dall’altra parte le punte. Il lato destro del corpo, come se fosse stato trafitto da un colpo di lancia, era solcato da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sangue.Dopo che l’uomo nuovo Francesco apparve insignito, mediante insolito e stupendo miracolo, delle sacre stimmate, discese dal monte. Privilegio mai concesso nei secoli passati, egli portava con sé l’immagine del Crocifisso, non scolpita da artista umano in tavole di pietra o di legno, ma tracciata nella sua carne dal dito del Dio vivente.

giovedì 4 settembre 2008

La parola di Francesco



La parola di Francesco
"...volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobi e disagi"
I Fioretti, VII, in Fonti Francescane. Editio Minor, Assisi, 1986

martedì 2 settembre 2008

Angelo Branduardi - Vanità di Vanità




Testo Vanità di Vanità
Vanità diVanità
Vai cercando qua, vai cercando là,
ma quando la morte ti coglierà
che ti resterà delle tue voglie?
Vanità di vanità.
Sei felice, sei, dei pensieri tuoi,
godendo solo d'argento e d'oro,
alla fine che ti resterà?

Vanità di vanità.
Vai cercando qua, vai cercando là,
seguendo sempre felicità, sano,
allegro e senza affanni...
Vanità di vanità.
Se ora guardi allo specchio il tuo volto sereno
non immagini certo quel che un giorno
sarà della tua vanità.
Tutto vanità, solo vanità,
vivete con gioia e semplicità,
state buoni se potete... tutto il resto è vanità.
Tutto vanità, solo vanità, lodate il Signore con umiltà,
a lui date tutto l'amore, nulla più vi mancherà.

mercoledì 13 agosto 2008

Vita di Santa Chiara


Vita di Santa Chiara
Assisi, ca. 1193 – Assisi, 11 agosto 1253
Assisi vanta di aver dato i natali ad un altro personaggio che insieme a San Francesco ha significato molto nella storia e nella vita della Città.
Chiara nasce da una nobile famiglia nel 1194, da Favarone di Offreduccio di Bernardino e da Ortolana.
La madre, recatasi a pregare alla vigilia del parto nella Cattedrale di San Rufino, sentì una voce che le predisse:"Oh, donna, non temere, perchè felicemente partorirai una chiara luce che illuminerà il mondo". La bambina fu chiamata Chiara e battezzata in quella stessa Chiesa. Si può senza dubbio affermare che una parte predominante della educazione di questa fanciulla è dovuta proprio alla Cattedrale di San Rufino, la sua Chiesa, dove poco distante sorgeva la casa paterna.
L'ambiente familiare di Chiara era pervaso da una grande spiritualità.
La madre educò con ogni cura le sue figlie e fu tra quelle dame che ebbero la grande fortuna di raggiungere la Terra Santa al seguito dei crociati.
L'esperienza della completa rinuncia e delle predicazioni di San Francesco, la fama delle doti che aveva Chiara per i suoi concittadini, fecero sì che queste due grandi personalità s'intendessero perfettamente sul modo di fuggire dal mondo comune e donarsi completamente alla vita contemplativa.
La notte dopo la Domenica delle Palme (18 marzo 1212) accompagnata da Pacifica di Guelfuccio (prima suora dell'ordine), la giovane si recò di nascosto alla Porziuncola, dove era attesa da Francesco e dai suoi frati.
Qui il Santo la vestì del saio francescano, le tagliò i capelli consacrandola alla penitenza e la condusse presso le suore benedettine di S. Paolo a Bastia Umbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa.
Consigliata da Francesco si rifugiò allora nella Chiesina di San Damiano che divenne la Casa Madre di tutte le sue consorelle chiamate dapprima "Povere Dame recluse di San Damiano" e, dopo la morte della Santa, Clarisse.
Qui visse per quarantadue anni, quasi sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice.
Nel 1215 Francesco la nominò badessa e formò una prima regola dell'Ordine che doveva espandersi per tutta Europa.
La grande personalità di Chiara non passò inosservata agli alti prelati, tanto che il Cardinale Ugolino (legato pontificio) formulò la prima regola per i successivi monasteri e più tardi le venne concesso il privilegio della povertà con il quale Chiara rinunciava ad ogni tipo di possedimento.
Nel 1243 durante un'incursione di milizie saracene nel Monastero di San Damiano, Chiara scacciò con un atto di coraggio la soldatesca.
La fermezza di carattere, la dolcezza del suo animo, il modo di governare la sua comunità con la massima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla.
La morte di San Francesco e le notizie che vari monasteri accettavano possessi e rendite amareggiarono e allarmarono la Santa che sempre più malata volle salvare fino all'ultimo la povertà per il suo convento componendo una Regola (simile a quella dei Frati Minori) approvata poi dal Cardinale Rainaldo (futuro papa Alessandro IV) nel 1252 e alla vigilia della sua morte da Innocenzo IV, recatosi a S. Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la su a regola; il giorno dopo (11 agosto 1253) Chiara muore, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l'ufficio dei morti, ma quello festivo delle vergini.
Il suo corpo venne sepolto a San Giorgio in attesa di innalzare la chiesa che porta il suo nome.
Nonostante l'intenzione di Innocenzo IV fosse quella di canonizzarla subito dopo la morte, si giunse alla bolla di canonizzazione nell'autunno del 1255, dopo averne seguito tutte le formalità, per mezzo di Alessandro IV.

mercoledì 6 agosto 2008

Jacopa Dei Settesoli

Jacopa Dei Settesoli
Francesco d’Assisi, quando morì, alla Porziuncola, non ebbe intorno a sé soltanto i suoi frati. Accanto, ebbe anche una donna, l’unica donna presente al “transito” del Santo, nella casupola di frasche e loto che era stata sua ultima cella. Quella donna non fu S. Chiara, chiusa tra le umilissime mura di S. Damiano (a lei, tornando stremato ad Assisi, l’Apostolo umbro aveva fatto sapere che lo avrebbe rivisto dopo morto. Così fu infatti, quando il suo corpo, durante i funerali, passò e sostò dinanzi a S. Damiano).Eppure, prima di morire, Francesco desiderò avere vicino una donna; volle, accanto al suo giaciglio, una presenza quasi materna, una mano affettuosa e forte al tempo stesso. La presenza fu quella di Jacopa dei Settesoli o Settesogli (Sette sogli: sogli= troni), la seconda delle due donne che, insieme a Chiara, il Santo diceva di amare. Puntualizza, infatti, Tommaso da Celano: «Giacoma de’ Settesoli, ugualmente famosa per nobiltà e per santità nella città di Roma, aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del Santo» (Celano, Trattato dei Miracoli, n. 37).Jacopa - o Giacoma o Giacomina - nacque intorno al 1190 da una famiglia di origine normanna. Da un documento datato 1210, risulta che in quell’anno era già coniugata con il nobile romano Graziano Frangipane del ramo dei Settesoli, un’antica e potente famiglia, che aveva l’abitazione in un avanzo del monumento detto "Settizonio", eretto da Settimio Severo a coronamento della “regina viarum”, e il cui cognome Frangipani sarebbe legato all’uso di distribuire il pane ai poveri.Dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo e Giovanni (che ricoprirono il ruolo di senatori di Roma). Il coniuge Graziano, morto prematuramente, affidò alla propria vedova l’amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per tutta la città e la circostante campagna (ancora nel 1230 Jacopa dei Settesoli risulta essere “castellana” del “castrum” di Marino).Quando, nel 1209, i Penitenti di Assisi si recarono a Roma, per ottenere dal papa l’approvazione della loro "Regola", la lunga permanenza nell’"Urbe" li obbligò a bussare ripetutamente a molte porte, tra le quali quella del palazzo dei Settesoli-Frangipane. Donna Jacopa li accolse con gentilezza e generosità. Le ripetute visite, i colloqui con Francesco diedero vita ad una solidissima amicizia, che fece del palazzo della nobildonna, rimasta vedova tra il 1210 e il 1216, la “casa dei frati”. Da allora, Jacopa dei Settesoli divenne la più valida collaboratrice del nascente "Ordine francescano" nella città dei Papi. Fu lei, dopo opportune richieste, ad ottenere dai Benedettini la cessione dell’ospedale di S. Biagio, nella zona di “Trastevere”, che divenne la prima dimora romana dei Francescani, ove, almeno una volta, fu ospite lo stesso Francesco durante uno dei suoi numerosi soggiorni a Roma.Nel 1231, immediatamente dopo la canonizzazione del Poverello, l’ospedale, per iniziativa della stessa donna Jacopa, fu trasformato nel convento di S. Francesco a Ripa (ancor oggi si mostra la cappella di S. Francesco, sorta, a detta della tradizione, nella cella dove era solito dimorare l’assisiate, e una pietra, che lo stesso usava come cuscino). Attiva e risoluta, pur essendo devota e affettuosa, Jacopa si poteva quasi dire un uomo, e infatti, mentre Francesco chiamava Chiara con il nome di "sorella", chiamò Jacopa con l’epiteto di fratello: “frate Jacopa”. Nonostante avesse l’opportunità di vivere lussuosamente, ella seguì il modello di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una vita austera e mettendo a sua disposizione i suoi beni ed il suo potere.Ella fu, così, la "Marta francescana". Narra S. Bonaventura: «Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne tornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi in chiesa. Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione» (Leg. maior, cap. VIII, n. 7).Donna Jacopa, stando alla tradizione, avrebbe fatto eseguire un ritratto di Francesco quando il Santo era ancora in vita: voleva la sua immagine sempre accanto! Una copia del dipinto è tuttora conservata nel romitaggio di Greccio. In essa è raffigurato Francesco nell’atto di asciugarsi gli occhi con un fazzoletto; sotto un’iscrizione recita: «Vero ritratto del Serafico Patriarca S. Francesco d’Assisi, fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma de’ Settesoli, vivente lo stesso patriarca».Quando Francesco sentì avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera per Jacopa, per informarla della sua morte imminente, chiedendole di raggiungerlo alla Porziuncola. Narra il Celano: «Il Santo, dunque, mentre giaceva ammalato di quell’infermità che, ponendo termine al suo patire, compì con beatissimo esito il felice corso della vita, pochi giorni prima di morire desiderò mandare a Roma per donna Giacoma, affinché, se voleva vedere mentre tornava alla patria lui che così ardentemente aveva amato in quest’esilio, accorresse in tutta fretta. Si scrive la lettera, si cerca un messo velocissimo, e questi, trovato, si accinge a mettersi in cammino. Ma improvvisamente presso la porta si ode uno scalpitio di cavalli, un rumore di soldati, l’affluire di una comitiva. Uno dei soci, proprio quello che stava dando gli ordini al messo, si fa sull’uscio e vede presente colei che mandava a chiamare ritenendola lontana.Tutto pieno di meraviglia, corre precipitosamente al Santo, e non potendo stare in sé per la gioia, esclama: "Buone nuove, o Padre, ti porto!". E a lui subito il Santo affrettandosi a prevenirlo, rispose : "Benedetto Iddio, il quale ci ha mandato il fratello nostro donna Giacoma! Ma aprite le porte - aggiunse - fatela entrare e conducetemela, perché per frate Giacoma non va osservata la clausura stabilita per le donne".Esultano i nobili ospiti, e tra le consolazioni dello spirito cadono abbondanti lagrime. E perché nulla manchi al miracolo, si ritrova che la santa donna ha portato tutto ciò che la lettera preparata diceva dovesse portare per le esequie del Padre. Infatti aveva recato seco un panno di color cinericcio, nel quale involgere il povero corpo del morente, e molti ceri, la sindone pel volto, un cuscino pel capo, e un certo cibo che al Santo piaceva, e tutto ciò che aveva desiderato lo spirito di lui, aveva suggerito pure il Signore.Continuerò senz’altro a dire dell’evento di questo pellegrinaggio, per non lasciare senza consolazione la nobile pellegrina. Attende la moltitudine delle genti, specialmente il devoto gruppo della Città, che presto giunga con l’ora della morte il natale del Santo. Ma questi è sollevato dall’arrivo dell’omaggio romano, e se ne trae l'augurio che possa vivere ancora un po’. Perciò anche la signora stabilì di licenziare la comitiva e rimaner essa sola con i figli e pochi scudieri. Ma il Santo si oppose: "Non farlo, perché io sabato morirò, e tu la domenica potrai ripartire con tutti".E così avvenne. All’ora predetta, entrò nella Chiesa trionfante colui che strenuamente aveva combattuto nella militante. Tralascio il concorso dei popoli, i canti di giubilo, i concerti delle campane, i fiumi di lagrime; tralascio il pianto dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. E vengo a ciò che deve consolare quella pellegrina, priva del conforto del Padre.Viene dunque nascostamente tratta ella da parte, tutta bagnata di lagrime, e ponendole tra le braccia il corpo dell’amico: "Ecco - le dice il vicario (frate Elia) - colui che hai amato vivo, tienlo anche morto". Ed essa, bagnando di cocenti lagrime quel corpo, raddoppia i lamenti e i singhiozzi, e rinnovando i dolorosi abbracci e i baci, scioglie il velo per vederlo rivelato. Che più? Contempla quel vaso prezioso, nel quale era stato nascosto il prezioso tesoro, ornato di cinque perle (le stimmate). Vede le cesellature che solo la mano dell’Onnipotente aveva fatte per la meraviglia del mondo, e pur nella morte dell’amico rivive per tali insoliti gaudii. Subito decide che non si debba dissimulare e nascondere oltre l’inaudito prodigio, ma con provvidenziale risoluzione si debba mostrare alla vista di tutti. A gara tutti accorrono a vedere, e trovano in verità cosa che Dio non aveva fatta ad alcun’altra nazione e stupiti ammirano.Sollevo la penna, perché non voglio balbettare ciò che non saprei spiegare.Giovanni Frangipane, allora giovinetto, in seguito proconsole dei Romani e conte del sacro Palazzo, ciò che in quel tempo insieme con la madre vide coi propri occhi e toccò liberamente con le mani tutto questo giura e conferma per tutti i dubbiosi» (Celano, Trattato dei Miracoli, nn. 37-38).Dopo i funerali, in gran parte sostenuti finanziariamente dalla stessa nobildonna, “frate Jacopa” tornò a Roma per il breve tempo necessario a disporre gli affari familiari, poi tornò ad Assisi, dove trascorse il resto della vita vicino alla tomba del suo padre spirituale, in abito di povera e umile terziaria, dedicandosi alla penitenza e alle opere di carità. Morì l’8 febbraio 1239. Fu sepolta nella chiesa inferiore della Basilica di S. Francesco di Assisi, vicino all’altare che sovrasta la tomba del Poverello.Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella cripta del Santo, di fronte all’altare, fra le due scalinate, in un’urna protetta da una griglia metallica nera. Sopra l’urna è un’iscrizione: «Fr. Jacopa de Septemsoli - Hic requiescit Jacopa sancta nobilisque romana».

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