lunedì 24 dicembre 2007

Gesù e San Francesco




Tanti Auguri a Gesù per il giorno della sua nascita, con l'augurio che Santo Padre Francesco governi sempre nel suo cuore l'amore per il nostro Signore

venerdì 21 dicembre 2007

Film di Fratello Sole Sorella Luna



Titolo Originale: FRATELLO SOLE, SORELLA LUNA
Regia: Franco Zeffirelli
Interpreti: Graham Faulkner, Judi Bowker, Valentina Cortese, Leigh Lawson, Alec GuinnessDurata: h 2.17Nazionalità: Italia 1972Genere: drammaticoAl cinema nel Gennaio 1972• Altri film di Franco Zeffirelli
Figlio di un ricco tintore, Francesco vive gioiosamente i suoi giorni. Partito per la guerra però, fa ritorno a casa stremato nel corpo e nello spirito. Matura quindi una conversione radicale che lo porta a spogliarsi di tutti i suoi beni e a praticare e predicare la povertà, con un gruppo di fedeli amici. Denigrato dai benpensanti, si reca dal papa e sarà proprio quest'ultimo a inginocchiarsi davanti a lui.

Claudio Baglioni - Fratello sole sorella luna

Cucina Medievale - Ricette

La cucina medievale è una cucina povera fatta di ingredienti essenziali che si perde per la maggioranza delle sue ricette nei segreti dei conventi, sono loro, i monaci maestri di preparazioni, non elaborate ma semplici e squisite.

MACCHERONI DEL PAESE DI BENGODI (Di Giovanni Boccaccio 1348)
Uno dei testi fondamentali, in materia di storia della pasta asciutta, resta la novella di Calandrino (XI-3) del Decamerone. È là che si parla del paese di Bengodi dove « eravi una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi li gettavan quindi giù, e chi più ne pigliava più ne aveva ». Da tempo, seguendo anche gli studi linguistici-gastronomici, si discute sulla composizione di quei maccheroni. Quasi certamente – e lo confermano i libri di cucina di due secoli dopo e certe voci dialettali venete ancor oggi valide – si trattava di gnocchi: tra l'altro, solo quelli avrebbero potuto agevolmente rotolar giù dalle falde della rnontagna di parmigiano. Gnocchi, ovviamente, senza le patate (arriveranno dall’America quasi tre secoli dopo Boccaccio). Ci avvaliamo, per la ricetta, delle indicazioni di libri più « recenti »; in questo caso, dei Banchetti di Cristoforo da Messisbugo.
Ingredienti (dosi per 4 persone):
200 g di farina bianca, 100 g di semolino macinato sottile, 5 uova, sale, 1 l di brodo di pollo e manzo (indispensabile), 100 g di formaggio grana grattugiato, 50 g di burro.
Esecuzione: Setacciare insieme la farina e il semolino. Metterli « a fontana », aggiungere le uova, il sale e ottenere un impasto non troppo duro. Nel caso, aggiungere o altra farina o acqua (tutto dipende dalla grossezza delle uova e dalla « forza » della farina). Ridurre l'impasto in cordoni, tagliare dei pezzi « quanto una castagna » e modellarli « sul rovescio del grattacasio (1a grattugia) ottenendo degli gnocchi a forma di conchiglia. Se piacciono, ricorrere agli gnocchi freschi venduti in buste: questi prodotti industriali, che si valgono più di semola e farina che di patate, sono i più « vicini » alla ricetta di quattrocento anni fa. Mettere al fuoco, in una pentola larga, il brodo: deve essere quanto più ricco è possibile e persino grasso, in quanto spetterebbe ad esso insaporire gli gnocchi. Quando il brodo bolle, calarvi, un po’ alla volta, gli gnocchi. Toglierli, con il mestolo bucato, appena salgono a galla e disporli in un piatto da portata ben caldo, cospargendoli, di volta in volta, con il formaggio grattugiato, e nient’altro. Farli rotolare in ungo un piano inclinato cosparso di formaggio sarebbe prova di rispetto per Boccaccio, ma anche operazione poco agevole. Solo al momento di servire, cospargere il piatto con il burro fuso. Servire caldissimi. Osserviamo, incidentalmente, che tutte le paste al burro sono migliori se si condiscono prima con il solo formaggio, poi con il burro, sciolto o anche in pezzetti.

domenica 2 dicembre 2007

Greccio "Francesco è la Natività"


Greccio Francesco è la Natività

Greccio è un paesino di antica origine medievale, situato a 18 chilometri dal capoluogo, arroccato a 705 metri di altitudine sullbra essere stato fondato da una famiglia o colonia greca, fuggita o esiliata dalla patria per guerre e distruzioni e stabilitasi in questo luogo, colpita dalla comodità di difesa naturale che esso offriva; onde il nome di Grecia, Grece, Grecce ed infine Greccio.Ebbe a sostenere fiere lotte con paesi confinanti e subì una distruzione per opera delle soldatesche di Federico II nel 1242, anche nel 1799 subì l'invasione ed il saccheggio dell'esercito napoleonico.Il piccolo paese ha avuto un graduale sviluppo nel corso dei secoli e questo è chiaramente visibile dalle diverse strutture architettoniche; sua caratteristica è di essere stato edificato su speroni di roccia, in un luogo quasi impossibile.Il posto è circondato da stupendi boschi di querce ed elci che offrono al visitatore l'opportunità di lunghe passeggiate su sentieri sicuri e suggestivi, fino alla Cappelletta di San Francesco, dimora del Santo dal 1209.L'antico Borgo Medievale che gode di un ottimo panorama, conserva parte della pavimentazione del vecchio castello ( XI sec. circa ) e due delle sei torri di cui la maggiore trasformata nel XVII sec. in Torre Campanaria.Vicino ad essa, alla sommità di una scenografica scalinata, la Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo, ricostruita dopo il saccheggio dei Francesi nel 1799, ornata da pregiate tempere cinquecentesche.Da citare è anche la Chiesa di S. Maria del Giglio (sec. XVIII circa) e la Cappellina di San Francesco, edificata, secondo la tradizione, nel posto in cui San Francesco rese pubblico il luogo designato per la costruzione dell'attuale Santuario.Tra le suggestive bellezze naturali, a Greccio, vi è anche quella delle acque minerali di Fonte Lupetta che scaturiscono a 875 metri d'altitudine e che, in seguito ad attente analisi, hanno rivelato varie proprietà terapeutiche.Da ricordare è anche Limiti di Greccio, oggi sede comunale e maggiore frazione del comune. La sua origine risale, si presume, al 300 A.C. Il fiume Velino formava un confine (LIMITES) tra le acque del lago e la terra ferma: ne rappresentava appunto il limite nord-occidentale.Il console Lucio Curio Dentato, con l'aiuto dei Sabini sottomessi a Roma e già integrati nei suoi usi e costumi, non potendo avere partita vinta con gli Umbri, ricorse ad una operazione grandiosa ed efficace: con uno sforzo immane di braccia aprì un varco alle acque del lago dalla parte nord-ovest facendo precipitare la massa d'acqua racchiusa nella valle sul territorio degli Umbri sottomettendoli a Roma, bonificando la grande pianura reatina e formando le famose cascate delle Marmore. ( le più alte d'Italia 165metri).Il paese di Greccio ha ormai, da secoli, varcato i ristretti limiti del suo territorio, dove era conosciuto come un piccolo e nascosto centro, per assumere un'importanza mondiale, dopo aver avuto l'onore di ospitare, per più volte, il poverello di Assisi che, a Greccio, rievocò per la prima volta la rappresentazione sacra del presepio.

Il Presepe di Greccio

Era la notte del Natale 1223...…quando San Francesco d'Assisi rievocò a Greccio la scena della Natività dando origini al Presepe.La Pro loco di Greccio è impegnata da oltre trenta anni nella Rievocazione Storica del Primo Presepe del Mondo mettendo in scena ogni Natale una manifestazione unica nel suo genere, cercando di far rivivere a tutti i presenti l'atmosfera che impressionò San Francesco più di otto secoli fa.
Betlemme e Greccio sono due nomi inseparabili nei ricordi natalizi di ogni anno poiché, se a Betlemme si operò il mistero della divina incarnazione del Salvatore del Mondo, a Greccio, per la pietà di San Francesco di Assisi, ebbe inizio, in forma del tutto nuova, la sua mistica rievocazione.
La prima volta che San Francesco venne a Greccio fu intorno al 1209. In quegli anni la popolazione di Greccio era esposta a grave flagello: la zona infatti era infestata da grossi lupi che divoravano le persone, ed ogni anno campi e vigneti erano devastati dalla grandine. E accadde, per disposizione divina e grande ai meriti del padre Santo, che da quell'ora cessassero le calamità. Egli non abitò nel castello, ma si costruì una povera capanna tra due carpini sul Monte Lacerone, detto appunto di San Francesco, monte alto 1204 m ove sorse nel 1712 una cappellina Commemorativa. San Francesco da li si recava, durante la giornata, a predicare alle popolazioni della campagna. Gli abitanti di Greccio presero ad amare Francesco e giunsero a tale punto di riconoscenza, per la sua grande opera di rigenerazione, da implorarlo perché non abbandonasse i loro luoghi e si trattenesse sempre con loro.
Tra coloro che andavano a sentire la parola del piccolo frate, c'era Giovanni Velita, il castellano di Greccio che divenne un innamorato del Santo. Dal 1217, Giovanni divenne uno dei migliori amici di Francesco e si prodigò per onorare nel miglior modo possibile quest' uomo, che già aveva manifestato i segni della santità. E mentre Francesco dimorava nella misera capanna ebbe le visite di Giovanni Velita, il quale, un po' grosso di costituzione, un giorno gli chiese di scegliere una dimora più vicina per confortare lui e il suo popolo con la sua parola.Francesco comprese la sincerità di tale proposta e l'accettò volentieri dicendo che avrebbe rimesso la scelta della nuova dimora, non alla sua volontà, ma ad un tizzo lanciato in aria da un fanciullo.La leggenda o verità non accertata racconta che trovato un fanciullo di quattro anni lo si invito a lanciare il tizzo in aria. Obbedì il fanciullo: "et el focoso tizzone, si come un dardo dall'arco scoccato, volando veloce se ne andò ad incendiare una selvaggia selva, sopra da un monticello, il quale d'appartenenza era del Velita, et tutto questo fece, alla lunghezza de uno bon miglio et più".Stupiti i Grecciani di tanto miracolo si recarono, con Francesco e con Giovanni Velita, al luogo ove era caduto il tizzo.Questa località ripida e scoscesa fu scelta come nuova dimora del Santo.Francesco amava l'eremo di Greccio, e aveva una predilezione anche per gli abitanti di quella terra, per la loro povertà e semplicità, perciò si recava spesso a soggiornare lì, attirato inoltre da una celletta estremamente povera ed isolata dove il Padre santo amava raccogliersi. A proposito degli uomini di Greccio soleva dire tutto felice ai frati: " non esiste una grande città dove si sono convertiti al Signore tante quante ne ha un paese così piccolo." Nell'autunno del 1223 Francesco si trovava a Roma in attesa dell'approvazione della Regola definitiva scritta per i suoi frati e presentata al Pontefice Onorio III°.Il 29 Novembre di detto anno ebbe la gioia di avere tra le mani la regola munita di bolla pontificia.Siamo ormai alle porte dell'inverno e un pensiero assillante dominava la mente di Francesco: l'avvicinarsi della ricorrenza della nascita del Redentore.Il poverello di Cristo, nella sua innata semplicità si fece audace, e durante l'udienza pontificia, concessagli per lo scopo suddetto, umilmente chiese al Papa la licenza di poter rappresentare la natività.Infatti, dopo il viaggio in Palestina, Francesco, rimasto molto impressionato da quella visita, aveva conservato una speciale predilezione per il Natale e questo luogo di Greccio, come dichiarò lui stesso, gli ricordava emotivamente Betlemme. Tormentato dal vivo desiderio di dover celebrare quell'anno, nel miglior modo possibile, la nascita del Redentore, giunto a Fonte Colombo, mandò subito a chiamare Giovanni Velita, signore di Greccio, e così disse: "Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante." Il cavaliere Velita aveva quindici giorni per preparare quanto Francesco desiderava e tutto ordinò con la massima cura ed " il giorno della letizia si avvicinò e giunse il tempo dell'esultanza!".Da più parti, Francesco aveva convocato i frati e tutti gli abitanti di Greccio. Dai luoghi più vicini e lontani mossero verso il bosco con torce e ceri luminosi. Giunse infine il Santo di Dio, vide tutto preparato e ne gode. Greccio fu così la nuova Betlemme! Con somma pietà e grande devozione l'uomo di Dio se ne stava davanti al presepio, con gli occhi in lacrime e il cuore inondato di gioia.Narra Tommaso da Celano: "fu talmente commosso nel nominare Gesù Cristo, che le sue labbra tremavano, i suoi occhi piangevano e, per non tradire troppo la sua commozione, ogni volta che doveva nominarlo, lo chiamava il Fanciullo di Betlemme. Con la lingua si lambiva le labbra, gustando anche col palato tutta la dolcezza di quella parola e a guisa di pecora che bela dicendo Betlemme, riempiva la bocca con la voce o meglio con la dolcezza della commozione".E narrasi ancora come vedesse realmente il bambino sulla mangiatoia, scuotersi come da un sonno tanto dolce e venirgli ad accarezzare il volto.Un cavaliere di grande virtù e degno di Fede, il signore " Giovanni da Greccio" asserì di aver visto quella notte un bellissimo bambinello dormire in quel presepio ed il Santo Padre Francesco stringerlo al petto con tutte e due le braccia. La narrazione della visione di questo devoto cavaliere è resa credibile non solo dalla santità di colui che la vide con i suoi occhi, ma è confermata anche dai miracoli che ne seguirono: come quello della paglia di quel presepio, che serviva per sanare in modo prodigioso le malattie degli animali ed ad allontanare le pestilenze, per la misericordia del Signore.
Così ebbe origine il tradizionale Presepio che si costruisce in tutto il mondo Cristiano, per ricordare la nascita del redentore...

giovedì 8 novembre 2007

Francesco d ' Assisi e la sua Porziuncola - Mickey Rourke

Film Francesco Liliana Cavani

" Francesco "di Liliana Cavani
Titolo Originale: FRANCESCO
Regia: Liliana Cavani terpreti: Mickey Rourke Helena Bonham Carter, Andréa Ferréol, Paolo

Bonacelli Durata: h 2.38Nazionalità: Italia 1988 Genere: biografico Al cinema nel Gennaio 1988

Alcuni anni dopo la sua morte, Chiara e cinque fra i primissimi seguaci del Santo ne ricostruiscono la vita, dalle dissipazioni giovanili alla prigionia nella guerra contro Perugia, la rinuncia ai beni materiali e la scelta di dedicarsi interamente ai poveri e ai lebbrosi, la faticata approvazione della "regola" da parte del papa Innocenzo III, via via fino al miracolo delle stigmate e alla morte.

martedì 16 ottobre 2007

San Francesco "La Perfetta Letizia"


- La Perfetta Letizia -


La vita di San Francesco d’Assisi è quella di un uomo che diventa santo; esemplare ed eccezionale, totalmente cristiano nella sua scelta di vivere integralmente il vangelo, tuttavia non smette di agire nel mondo.Francesco è un santo che sceglie la gioia di vivere, la raccomanda ai suoi discepoli; ama la povertà mai disgiunta dalla "perfetta letizia"; si priva di tutto, ma si riempie di Dio e da questa pienezza arriva la sua grande gioia. "…Sopportare il male senza mormorare, con pazienza e gioia saper sopportare. Aver vinto su te stesso, sappi, questa è la letizia…"

Questo frammento riassume il concetto di "perfetta letizia" trattato nell’ottavo capitolo dei Fioretti di San Francesco: siamo verosimilmente nell’inverno dell’anno 1221 e San Francesco, in compagnia di Frate Leone si sta recando ad Assisi presso la chiesetta della Porziuncola.Durante il cammino Francesco ha l’occasione di spiegare al sacerdote, prima attraverso una serie di negazioni poi con esempi che la vera gioia consiste nell’accettare non solo pazientemente ma anche serenamente e gioiosamente i maltrattamenti immeritati della vita quotidiana, persino le incomprensioni dei suoi frati.La letizia è perfetta, perché è la suprema vittoria che Francesco ottiene su se stesso. Non c’è in lui amor proprio, orgoglio perché ha superato la prova più grande a cui il suo spirito poteva essere sottoposto e l’ha vinta, per questo ha motivo di rallegrarsi. La gioia è un dono che gli uomini cercano e attendono e che il credente è tenuto a trasmettere come l’amore, la fede. Essere nulla e nessuno, questo riempie Francesco di gioia.

Angelo Branduardi - La predica della perfetta letizia

lunedì 15 ottobre 2007

Significato del testo "Scarborough Fair"











Scarborough Fair

Il brano, uno dei più famosi di Simon & Garfunkel, è tratto da una ballata inglese di epoca medievale, che il celebre duo folk ha ripreso (in parte) e arrangiato magistralmente, facendone un classico intramontabile, intervallando le parole originale con altre composte da Simon & Garfunkel (Canticle), di chiara impostazione pacifista, che si pongono a contrasto con la vecchia ballata.Ma cosa andava a fare il protagonista alla fiera di quella città, e perchè erano così importanti prezzemolo, salvia, rosmarino e timo, le spezie citate nell'inciso del brano (parsley, sage, rosemary and thyme)?

La antica città di Scarborough e la sua fiera



Scarborough era (ed è) una città portuale situata nello Yorkshire, a Nord del capoluogo York, che si affaccia sul Mare del Nord. In origine era un insediamento vichingo, risalente ad oltre mille anni fa, e aveva il nome di Skartha per i vichingi, diventata poi Skarthaborg (borg = città, dal termine latino germanizzato) e poi Scarborough in dizione inglese. La buona posizione ne fece un frequentato porto commerciale nel medio evo, quando ripresero vigore i traffici per mare.Da questa attitudine commerciale nasceva la Fiera di Scarborough, famosa in tutta la Gran Bretagna del medio evo, che durava 45 giorni ogni anno, dalla metà di agosto sino a fine settembre, attirando commercianti e gente comune da tutta l'Inghilterra e anche dall'estero. Negli anni successivi la importanza della fiera è andata declinando, assieme a quella della cittadina, che ora è una tranquilla località della provincia inglese.


Il brano,, è tratto da una ballata inglese di epoca medievale, (Canticle), di chiara impostazione pacifista, che si pongono a contrasto con la vecchia ballata.Ma cosa andava a fare il protagonista alla fiera di quella città, e perchè erano così importanti prezzemolo, salvia, rosmarino e timo, le spezie citate nell'inciso del brano




Stai andando alla Fiera di Scarborough?

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

ricordarmi alle persone che vivono là

lei un tempo era un vero amore per me




Dille di cucirmi una camicia di lino

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

senza giunture e senza usare l'ago per cuciree lei sarà un vero amore per me



Dille di cercarmi un acro di terra

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

tra l’acqua salata del mare e la sponda

e lei sarà un vero amore per me.




Dille di mettere il raccolto in un sacchetto di pelle

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

e di legarlo tutto assieme in un mazzetto di erica

e lei sarà un vero amore per me.

Stai andando alla Fiera di Scarborough?

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

ricordarmi alle persone che vivono là

lei un tempo era un vero amore per me.

Spiegazione del testo della canzone tradizionale

Si tratta di una canzone che parla di un abbandono e di un amore impossibile. Il personaggio che canta i versi chiede alla sua amata una serie di prove impossibili, ma molto domestiche, in linea con la ispirazione e la ambientazione popolare del testo, come presupposto perché il loro amore possa avverarsi. Le prove quindi sono per la donna, così come addirittura è la donna che alla fine dovrebbe chiedere la mano all'amante che le chiede le prove d'amore.Poiché siamo nel periodo dell'amore angelicato, dell'uomo disposto ad adorare e ad aspettare per tutta la vita la sua amata, e questa poetica influenzava anche la canzone popolare, che dalle arie nobili traeva ispirazione, è probabile che si tratti di una inversione. In altre parole la canzone parla di una serie di situazioni paradossali e impossibili proprio per significare poeticamente che l'amore è finito, è impossibile, l'abbandono è consumato, o forse c'è un impedimento esterno insuperabile, lei è promessa ad un altro, o è già sposata, quanto viene chiesto non potrà mai essere realizzato, e quindi questo è un modo poetico di congedarsi da questo amore infelice. Lasciando però una speranza, una porta aperta, con il bellissimo verso "L'amore richiede prove impossibili / ma nulla di più di quanto chiede ogni cuore": in altre parole l'amore non è razionalità, tutto è possibile, anche l'impossibile, e quindi forse da questo messaggio all'amata nascerà veramente "un vero amore" per il romantico trovatore medievale.E infine perché l'ambientazione e il riferimento alla fiera? Era un tempo di comunicazioni scarse, e la fiera, soprattutto se così lunga, era uno strumento di comunicazione. Il protagonista ha incontrato un viaggiatore che sta andando alla fiera, lui evidentemente ne è lontano, o non può andarci di persona. La sua amata forse vive lì, forse anche lei dovrà andare alla fiera, per il suo lavoro, per accompagnare la sua famiglia o per qualche altro motivo. E' il tema quindi del messaggio affidato a un messaggero d'amore, un viaggiatore, un commerciante che, forse e se la fortuna vorrà, arriverà all'amata, non essendoci telefoni, telefonini o e-mail per raggiungerla in modo più agevole.Parsley, sage, rosemary and thyme: cosa significa il richiamo alle quattro erbeSono altrettanti simboli delle virtù che il cantore chiede alla sua amata, sono simboli un po' come oggi potrebbero le rose rosse (passione) o il giglio bianco (purezza) e così via.Il prezzemolo era allora più che un condimento un'erba officinale, indicata per favorire la digestione e cacciare il cattivo umore. Simboleggia quindi la possibilità di allontanare i dispiaceri e l'amarezza dalla vita.Anche la salvia era un'erba officinale, indicata come rinvigorente. Simboleggia quindi la forza.Molti sono i simboli associati al rosmarino. Simboleggia il ricordo e la capacità di non dimenticare perché, secondo credenze risalenti alla antica Roma, era sufficiente un ramoscello sotto al cuscino la notte per rafforzare la memoria. Simboleggia la fedeltà, perché sin dai tempi della antica Grecia era usanza adornare con ramoscelli di rosmarino l'acconciatura delle spose. Infine la pianta del rosmarino è forte e resistente, sebbene cresca lentamente e all'inizio con difficoltà, e quindi simboleggia tradizionalmente l'amore femminile.Il timo rappresenta infine il coraggio, probabilmente per presunte proprietà dei decotti derivati da questa pianta, ed era usato per adornare le armi dei cavalieri dell'epoca.Quindi diventa chiaro il significato del celebre verso e inciso: l'amarezza tra loro deve essere scacciata dal prezzemolo, la salvia deve dare loro la forza di sopportare la separazione, il rosmarino deve dare a lei la fedeltà di aspettarlo, e il timo il coraggio di affrontare le prove impossibili per arrivare o tornare da lui
Stai andando alla Fiera di Scarborough?prezzemolo, salvia, rosmarino e timoricordarmi alle persone che vivono làlei un tempo era un vero amore per me







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