
L'arca di Noè
Oggi sarebbe stasto il compleanno di papà gli dedico questa splendida preghiera del mio amato Francesco
Gli animali fanno bene alla famiglia, ai grandi e ai piccini: suscitano sorrisi, risate,tengono compagnia e guariscono la depressione.Che i cristiani debbano amare gli animali, si sa almeno dai tempi di San Francesco , che parlava alle tortorelle, convertiva il lupo di Gubbio e insegnava ch
e "Animale" del resto deriva da "anima" cioè significa un essere che ha vita e che è animato. Sono animali le bestie, è animale l'uomo. Tut
ti siamo animali.


Creature, intonato da Francesco, ormai cieco, piagato e sull’orlo del transito verso l’altra vita, per celebrare la natura, nella sua pienezza, espressione del suo amore per Gesù Cristo.
rancesco non è un vero e proprio “ecologista ante litteram”, come qua
lcuno vorrebbe esagerando e
forzando la storia del santo. In lui l’amore per la natura, che è comunque una costante dopo la sua conversione, è sempre mediato dalla presenza del Ministero. “Questa bella d’erbe famiglia e d’animali” non è un assoluto superiore all’uomo o un orizzonte fine a se stesso, ma il riflesso di quell’armonia e quel rispetto che furono gli archetipi della sua vita, fino a quella notte fra il 3 e il 4 ottobre del 1226, quando la sua anima salì a Lui, all’età di quarantaquattro anni. 


Marcellino Pane e Vino
Nel giorno di San Marcellino, in Spagna, un frate francescano si reca in paese per andare a visitare una bambina gravemente malata, mentre tutto il paese sta salendo la collina per andare al convento sulla tomba di San Marcellino; il frate inizia a raccontare la storia del convento e di Marcellino. Finita la sanguinosa guerra combattuta tra Francesi e Spagnoli, tre frati francescani chiedono al sindaco, Don Emilio, di poter riassestare il vecchio castello per convertirlo a convento; il sindaco accetta e tutta la popolazione aiuta i tre frati nell'intento. Dopo poco tempo il convento è costruito ed inaugurato. Una mattina però, il frate portinaio trova alla porta un cestino con dentro un neonato che piange, poiché ha fame e sete; i frati lo battezzano e gli danno il nome di Marcellino, poiché è il giorno di S. Marcellino. I frati vorrebbero affidarlo a qualche famiglia, ma nessuno è in grado di mantenere un altro figlio, viste le condizioni di miseria in cui viveva la popolazione spagnola. Marcellino diventa un bambino di cinque anni robusto e forte e tratta tutti e dodici frati come dodici padri, ma sente molto la mancanza di una figura materna, infatti f
a ai frati molte domande sulle mamme. Un giorno Marcellino, disubbidendo a frate Francesco (chiamato da Marcellino "Fra Pappina"), trova un crocifisso parlante che gli chiede da mangiare e da bere; Marcellino avendo solo pane e vino, lo dà a Gesù, che lo soprannomina Marcellino Pane e Vino. Portato da un fraticello alla fiera paesana, distrugge la fiera; così il nuovo sindaco, da sempre contrario all'opera di bene fatta da Don Emilio, emette uno sfratto ai danni dei frati. Ma pochi giorni prima dello sfratto Marcellino va a parlare con Gesù delle mamme, e dice che vuole vedere la sua mamma e la Madonna, alchè Gesù addormenta Marcellino e lo manda in cielo a conoscere i genitori. Frate Francesco che aveva visto il miracolo chiama tutti i frati al cospetto del Signore per vedere Gesù che scende e sale in croce. Tutta la gente del paese corre a vedere il miracolo e ogni anno la gente del luogo si reca sulla tomba di Marcellino Pane e Vino.



ermare che una parte predominante della educazione di questa fanciulla è dovuta proprio alla Cattedrale di San Rufino, la sua Chiesa, dove poco distante sorgeva la casa paterna.
co e dai suoi frati.
mbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa.
sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice.
Chiara rinunciava ad ogni tipo di possedimento.
ima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla.
quella dei Frati Minori) approvata poi dal Cardinale Rainaldo (futuro papa Alessandro IV) nel 1252 e alla vigilia della sua morte da Innocenzo IV, recatosi a S. Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la su a regola; il giorno dopo (11 agosto 1253) Chiara muore, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l'ufficio dei morti, ma quello festivo delle vergini.
Jacopa Dei Settesoli
Porziuncola, non ebbe intorno a sé soltanto i suoi frati. Accanto, ebbe anche una donna, l’unica donna presente al “transito” del Santo, nella casupola di frasche e loto che era stata sua ultima cella. Quella donna non fu S. Chiara, chiusa tra le umilissime mura di S. Damiano (a lei, tornando stremato ad Assisi, l’Apostolo umbro aveva fatto sapere che lo avrebbe rivisto dopo morto. Così fu infatti, quand
o il suo corpo, durante i funerali, passò e sostò dinanzi a S. Damiano).Eppure, prima di morire, Francesco desiderò avere vicino una donna; volle, accanto al suo giaciglio, una presenza quasi m
aterna, una mano affettuosa e forte al tempo stesso. La presenza fu quella di Jacopa dei Settesoli o Settesogli (Sette sogli: sogli= troni), la seconda delle due donne che, insieme a Chiara, il Santo diceva di amare. Puntualizza, infatti, Tommaso da Celano: «Giacoma de’ Settesoli, ugualmente famosa per nobiltà e per santità nella città di Roma, aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del Santo» (Celano, Trattato dei Miracoli, n. 37).Jacopa - o Giacoma o Giacomina - nacque intorno al 1190 da una famiglia di origine normanna. Da un documento datato 1210, risulta che in quell’anno era già coniugata con il nobile romano Graziano Frangipane del ramo dei Settesoli, un’antica e potente famiglia, che aveva l’abitazione in un avanzo del monumento detto "Settizonio", eretto da Settimio Severo a coronamento della “regina viarum”, e il cui cognome Frangipani sarebbe legato all’uso di distribuire il pane ai poveri.Dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo e Giovanni (che ricoprirono il ruolo di senatori di Roma). I
l coniuge Graziano, morto prematuramente, affidò alla propria vedova l’amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per tutta la città e la circostante campagna (ancora nel 1230 Jacopa dei Settesoli risulta essere “castellana” del “castrum” di Marino).Qua
ndo, nel 1209, i Penitenti di Assisi si recarono a Roma, per ottenere dal papa l’approvazione della loro "Regola", la lunga permanenza nell’"Urbe" li obbligò a bussare ripetutamente a molte porte, tra le quali quella del palazzo dei Settesoli-Frangipane. Donna Jacopa li accolse con gentilezza e generosità. Le ripetute visite, i colloqui con Francesco diedero vita ad una solidissima amicizia, che fece del palazzo della nobildonna, rimasta vedova tra il 1210 e il 1216, la “casa dei frati”. Da allora, Jacopa dei Settesoli divenne la più valida collaboratrice del nascente "Ordine francescano" nella città dei Papi. Fu lei, dopo opportune richieste, ad ottenere dai Benedettini la cessione dell’ospedale di S. Biagio, nella zona di “Trastevere”, che divenne la prima dimora romana dei Francescani, ove, almeno una volta, fu ospite lo stesso Francesco durante uno dei suoi numer
osi soggiorni a Roma.Nel 1231, immediatamente dopo la canonizzazione del Poverello, l’ospedale, per iniziativa della stessa donna Jacopa, fu trasformato nel convento di S. Francesco a Ripa (ancor oggi si mostra la cappella di S. Francesco, sorta, a detta della tradizione, nella cella dove era solito dimorare l’assisiate, e una pietra, che lo stesso usava come cuscino). Attiva e risoluta, pur essendo devota e affettuosa, Jacopa si poteva quasi dire un uomo, e infatti, mentre Francesco chiamava Chiara con il nome di "sorella", chiamò Jacopa con l’epiteto di fratello: “frate Jacopa”. Nonostante avesse l’opportunità di vivere lussuosamente, ella seguì il modello di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una vita austera e mettendo a sua disposizione i suoi beni ed il suo potere.Ella fu, così, la "Marta francescana". Narra S. Bonaventura: «Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose d
ello spirito non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne tornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi in chiesa. Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione» (Leg. maior, cap. VIII, n. 7).Donna Jacopa, stando alla tradizione, avrebbe fatto eseguire un ritratto di Francesco quando il Santo era ancora in vita: voleva la sua immagine sempre accanto! Una copia del dipinto è tuttora conservata nel romitaggio di Greccio. In essa è raffigurato Francesco nell’atto di asciugarsi gli occhi con un fazzoletto; sotto un’iscrizione recita: «Vero ritratto del Serafico Patriarca S. Francesco d’Assisi, fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma de’ Settesoli, vivente lo stesso patriarca».Quando Francesco s
entì avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera per Jacopa, per informarla della sua morte imminente, chiedendole di raggiungerlo alla Porziuncola. Narra il Celano: «Il Santo, dunque, mentre giaceva ammalato di quell’infermità che, ponendo termine al suo patire, compì con beatissimo esito il felice corso della vita, pochi giorni prima di morire desiderò mandare a Roma per donna Giacoma, affinché, se voleva vedere mentre tornava alla patria lui che così ardentemente aveva amato in quest’esilio, accorresse in tutta fretta. Si scrive la lettera, si cerca un messo velocissimo, e questi, trovato, si accinge a mettersi in cammino. Ma improvvisamente presso la porta si ode uno scalpitio di cavalli, un rumore di soldati, l’affluire di una comitiva. Uno dei soci, proprio quello che stava dando gli ordini al messo, si fa sull’uscio e vede presente colei che mandava a chiamare ritenendola lontana.Tutto pieno di merav
iglia, corre precipitosamente al Santo, e non potendo stare in sé per la gioia, esclama: "Buone nuove, o Padre, ti porto!". E a lui subito il Santo affrettandosi a prevenirlo, rispose : "Benedetto Iddio, il quale ci ha mandato il fratello nostro donna Giacoma! Ma aprite le porte - aggiunse - fatela entrare e conducetemela, perché per frate Giacoma non va osservata la clausura stabilita per le donne".Esultano i nobili ospiti, e tra le consolazioni dello spirito cadono abbondanti lagrime. E perché nulla manchi al miracolo, si ritrova che la santa donna ha portato tutto ciò che la lettera preparata diceva dovesse portare per le esequie del Padre. Infatti aveva recato seco un panno di color cinericcio, nel quale involgere il povero corpo del morente, e molti ceri, la sindone pel volto, un cuscino pel capo, e un certo cibo che al Santo piaceva, e tutto ciò che aveva desiderato lo spirito di lui, aveva suggerito pure il Signore.Continuerò senz’altro a dire dell’evento di questo pellegrinaggio, per no
n lasciare senza consolazione la nobile pellegrina. Attende la moltitudine delle genti, specialmente il devoto gruppo della Città, che presto giunga con l’ora della morte il natale del Santo. Ma questi è sollevato dall’arrivo dell’omaggio romano, e se ne trae l'augurio che possa vivere ancora un po’. Perciò anche la signora stabilì di licenziare la comitiva e rimaner essa sola con i figli e pochi scudieri. Ma il Santo si oppose: "Non farlo, perché io sabato morirò, e tu la domenica potrai ripartire con tutti".E così avvenne. All’ora predetta, entrò nella Chiesa trionfante colui che strenuamente aveva combattuto nella militante. Tralascio il concorso dei popoli, i canti di giubilo, i concerti delle campane, i fiumi di lagrime; tralascio il pianto dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. E vengo a ciò che deve consolare quella pellegrina, priva del conforto del Padre.Viene dunque nascostamente tr
atta ella da parte, tutta bagnata di lagrime, e ponendole tra le braccia il corpo dell’amico: "Ecco - le dice il vicario (frate Elia) - colui che hai amato vivo, tienlo anche morto". Ed essa, bagnando di cocenti lagrime quel corpo, raddoppia i lamenti e i singhiozzi, e rinnovando i dolorosi abbracci e i baci, scioglie il velo per vederlo rivelato. Che più? Contempla quel vaso prezioso, nel quale era stato nascosto il prezioso tesoro, ornato di cinque perle (le stimmate). Vede le cesellature che solo la mano dell’Onnipotente aveva fatte per la meraviglia del mondo, e pur nella morte dell’amico rivive per tali insoliti gaudii. Subito decide che non si debba dissimulare e nascondere oltre l’inaudito prodigio, ma con provvidenziale risoluzione si debba mostrare alla vista di tutti. A gara tutti accorrono a vedere, e trovano in verità cosa che Dio non aveva fatta ad alcun’altra nazione e stupiti ammirano.Sollevo la penna, perché non voglio balbettare ciò che non saprei spiegare.Giovanni Frangipane, allora giovinetto, in seguito proconsole dei Romani e conte del sacro Palazzo, ciò che in quel tempo insieme con la madre vide coi propri occhi e toccò liberamente con le mani tu
tto questo giura e conferma per tutti i dubbiosi» (Celano, Trattato dei Miracoli, nn. 37-38).Dopo i funerali, in gran parte sostenuti finanziariamente dalla stessa nobildonna, “frate Jacopa” tornò a Roma per il breve tempo necessario a disporre gli affari familiari, poi tornò ad Assisi, dove trascorse il resto della vita vicino alla tomba del suo padre spirituale, in abito di povera e umile terziaria, dedicandosi alla penitenza e alle opere di carità. Morì l’8 febbraio 1239. Fu sepolta nella chiesa inferiore della Basilica di S. Francesco di Assisi, vicino all’altare che sovrasta la tomba del Poverello.Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella cripta del Santo, di fronte all’altare, fra le due scalinate, in un’urna protetta da una griglia metallica nera. Sopra l’urna è un’iscrizione: «Fr. Jacopa de Septemsoli - Hic requiescit Jacopa sancta nobilisque romana».